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5G: di cosa ci dobbiamo realmente preoccupare?

Negli ultimi mesi del 2019 sono stati non pochi i comuni che “hanno detto NO alla sperimentazione del 5G”.

Ribadiamo che condividiamo la perplessità sulla corsa ad un mondo iperconnesso dove anche gli oggetti di uso comune devono essere raggiungibili via internet.

Quello che invece ci preoccupa è l’uso fuorviante dei dati scientifici.

Il dibattito sull’eventuale pericolo legato a esposizioni croniche a livelli di campo magnetico molto inferiore a quello per il quale sono noti gli effetti biofisici è nato inizialmente in relazione al campo magnetico a 50 Hz, generato dagli elettrodotti.

Il campo magnetico a 50 Hz (60 in Nord America) è classificato “possibile cancerogeno” dalla IARC fin dai primi anni 2000 e questa classificazione non è più stata discussa.

Lo stesso centro di ricerca che oggi spinge per “valutare i rischi del 5G” ha in effetti studiato, con lo stesso metodo dell’esposizione di un elevato numero di animali, anche i campi a 50 Hz.

I risultati pubblicati hanno avuto un’eco mediatica molto inferiore, ed è un peccato perché sono molto interessanti.

Un primo punto da evidenziare [1] è che il progetto globale prevede di testare sia gli effetti dei campi elettromagnetici come tali sia la combinazione degli stessi con altri cancerogeni noti come la formaldeide [2]  o le radiazioni ionizzanti [3].

Anche se il risultato non sembra avere raggiunto il pubblico, l’esposizione dello stesso tipo di ratti al di sopra (1000 µT) dei livelli di riferimento ICNIRP per il campo magnetico a 50 Hz [1], non ha evidenziato alcun effetto cancerogeno.

I ratti maschi esposti a campo magnetico a bassa frequenza & formaldeide, hanno mostrato un eccesso statisticamente significativo di carcinomi tiroidei a cellule C e neoplasie emolinforeticolari [2].

Ancora più interessante per noi fisici medici è che, sempre e solo i ratti maschi, hanno evidenziato una incidenza statisticamente significativa di Shwannomi maligni del cuore se esposti agli stessi livelli di campo a 50 Hz del lavoro citato come [2] & 0,1 Gy di radiazioni ionizzanti [3].

Attendiamo con un certo interesse il risultato, preannunciato per la fine di quest’anno [1] dell’esposizione ai campi a radiofrequenza (1,8 GHz) & radiazioni ionizzanti.

Tale esposizione viene definita come “bassa e acuta”, volendo con ciò significare che i 100 mGy sono stati somministrati in una sola frazione a 6 settimane di età.

Tutto quanto sopra è molto interessante e anche per molti versi discutibile, nel senso che ci sono diverse osservazioni che si possono fare.

Abbiamo, per esempio, che lo stesso tipo di tumore, lo Shwannoma maligno, si manifesta

  • solo nei ratti maschi;
  • esposti ad agenti fisici completamente diversi come le radiazioni ionizzanti e i campi a radiofrequenza;
  • senza una relazione lineare dose-risposta per le radiofrequenze.

La conclusione dell’ICNIRP secondo la quale non ci sono ragioni per modificare i limiti di esposizione ci sembra del tutto ragionevole.

I fisici medici sono abituati a considerare rischi di tipo stocastico, e gli effetti sinergici non devono mai essere sottovalutati; si pensi al noto caso dell’esposizione a radon dei fumatori, ma anche a possibili altre sinergie che possono essere state trascurate finora.

Il metodo scientifico richiede la pubblicazione dei risultati proprio perché altri li possano discutere e confutare, se necessario.

Il trasferimento dei risultati della ricerca alla normativa richiede il passaggio dalle Istituzioni proprio per la tutela di tutti.

Oggi sembra possibile leggere su internet articoli specialistici senza capirli del tutto e far approvare delibere che dicono il contrario dell’Istituto Superiore di Sanità.

Questo, secondo noi, è pericoloso.

 

 

Posted byffrigerio